Articolo estratto da
Corriere della Sera /Malattie Rare – Corriere.it
27 Aprile 2018
di Maria Giovanna Faiella
La giornata del 27 aprile dedicata ai bambini che soffrono di malattie sconosciute
con l’intento sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’importanza di avere una diagnosi o quantomeno un’assistenza che risponda ai loro bisogni.
La chiamavano “bambina di pietra” a causa della malattia genetica rara sconosciuta che la imprigionava nel suo corpo. La storia di Bea ha commosso l’Italia, così quella di Leonardo, scomparso tre anni fa, anche lui afflitto da una malattia misteriosa. Come Bea e Leonardo, ci sono tanti altri bambini che soffrono di malattie rare senza nome (e senza cura). Ogni anno in Europa nascono più di 65mila bambini con una condizione genetica così rara che spesso per i dottori è impossibile diagnosticarla: più della metà di chi si sottopone a un test genetico non avrà mai una diagnosi confermata. Per questo, sono nate associazioni di pazienti “senza nome”, che chiedono di non essere dimenticati. La giornata del 27 aprile è dedicata ai bambini non diagnosticati per sensibilizzare l’opinione pubblica e anche la comunità scientifica sulle condizioni di questi piccoli “supereroi” che affrontano con coraggio la loro malattia ogni giorno. Sono bambini che possono avere una molteplicità di sintomi e quadri clinici diversi tra loro, più o meno complessi, ma sono accomunati dalla stessa condizione di malati “invisibili”: stanno male ma non si sa di cosa soffrono, non hanno un’infanzia normale e spensierata come i loro coetanei, devono sottoporsi a continui esami, test, visite, ricoveri in ospedale.
La rete europea Swan
L’anno scorso, in occasione della giornata di sensibilizzazione, si è costituita la Federazione europea Swan, che significa “cigno” ma è anche acronimo di syndromes without a name, Sindromi senza nome: raggruppa, oltre alla storica associazione inglese Swan UK, associazioni di diversi Paesi europei ed Eurordis (Federazione europea dei malati rari). L’intento di Swan Europe è aiutare a uscire dall’isolamento i pazienti e i loro familiari, spesso costretti a peregrinare da un ospedale all’altro, alla ricerca di un nome e di una cura per la malattia, o quantomeno di un’assistenza che risponda ai loro specifici bisogni. A livello di sistemi sanitari, infatti, non esistono registri delle persone senza diagnosi, né percorsi definiti per la loro presa in carico. Di Swan Europe fa parte anche l’associazione italiana Hopen, nata tre anni fa per volontà di Federico Maspes, papà di Clementina, che dopo ventidue anni ancora non ha un nome per la sua malattia rara. «Abbiamo sperimentato le difficoltà di chi deve affrontare una malattia rara non diagnosticata e il senso di isolamento perché spesso non si sa a chi rivolgersi, per questo abbiamo voluto creare un’associazione di riferimento per le malattie rare senza nome – spiega il presidente di Hopen -. Le famiglie ci contattano per avere indicazioni su come affrontare i problemi che provoca la malattia che spesso coinvolge diversi organi, e noi le indirizziamo ai centri che si occupano di quei sintomi specifici. In altri casi – prosegue Maspes – chiedono informazioni sui test diagnostici, poiché non tutti sono a conoscenza dei progressi della genomica e noi li indirizziamo ai laboratori di genetica del Bambino Gesù, che sono il nostro principale riferimento».
Un nome alla malattia
Più di due anni fa nell’ospedale pediatrico romano è stato avviato un programma specifico dedicato alla ricerca e alla cura delle malattie genetiche orfane di diagnosi, col sostegno della campagna «Vite coraggiose». Nel 2016 il Bambino Gesù ha aperto il primo ambulatorio dedicato ai pazienti rari senza diagnosi. «Nell’ultimo anno siamo riusciti a dare un nome alla malattia di 350 bambini e sono state scoperte 16 nuove malattie non ancora classificate – ricorda il direttore scientifico Bruno Dallapiccola -. Sono risultati ottenuti grazie alla capacità di presa in carico dei pazienti da parte dell’Ospedale, all’approccio clinico multidisciplinare, all’apporto delle tecnologie di sequenziamento genetico di ultima generazione e alla capacità di fare rete che mette insieme le diverse realtà attive nel mondo delle malattie rare, tanto a livello nazionale, quanto a livello europeo».
In cerca di identità
Capire la causa genetica della malattia è il primo passo per evitare ai pazienti e alle loro famiglie percorsi lunghi, tortuosi e dispendiosi per giungere a una diagnosi, capire se esiste una cura o la possibilità per i ricercatori di sviluppare nuove terapie. Ma è importante anche per questi pazienti “invisibili” sul fronte dell’assistenza, ricevere un codice, quindi il riconoscimento di una condizione particolare di malati rari e senza diagnosi. «La Federazione Swan Europa si è costituita per riuscire a dare visibilità alle persone che soffrono di malattie rare senza nome – riferisce Federico Maspes -. Il nostro obiettivo è far circolare informazioni di qualità condivise dalla comunità scientifica e anche arrivare a una Carta comune dei servizi».
Uscire dall’isolamento
I bambini e i giovani adulti con una malattia rara senza nome non sono solo “pazienti”, ma persone che hanno diritto ad avere una vita di relazione, a giocare, a non sentirsi isolati. La scuola può essere un’opportunità di inclusione ma, soprattutto quando finisce il percorso scolastico, i ragazzi stanno a casa, spesso in completa solitudine. Da qui l’iniziativa della Fondazione Hopen di sviluppare, in collaborazione con diversi partner, a Roma, una serie di laboratori che si svolgono con cadenza settimanale o mensile, come “Tutti in gioco”, “Tutti a karate”, “Tutti in cucina”, “Tutti in fattoria”, “Albergo etico”. «Sono occasioni per stare insieme, svolgere attività ludiche o sportive, favorire l’integrazione dei ragazzi nella società, avvicinarli al mondo del lavoro – dice Maspes -. Ma è anche un’occasione per le famiglie di confrontarsi, supportarsi a vicenda, uscire dall’isolamento».